L’abbigliamento e in generale tutto il settore del tessile ha sull’ambiente un impatto enorme che ha il suo punto debole nella sovraproduzione. Sono ormai più di vent’anni che esiste il fenomeno del “fast fashion”, un modello di business con una produzione sovradimensionata di abiti a basso costo, con quantità enormi che non vengono acquistate e che generano quantità di rifiuti notevoli con importanti problemi per lo smaltimento.

Si calcola che ogni anno nel mondo vengo prodotte circa 17 milioni di tonnellate di tessuti tessili e circa 11 milioni di tonnellate di rifiuti tessili. I numeri italiani sono parimenti impressionanti: 1,5 milioni di tonnellate prodotte ed esportate, circa 25 chili ad abitante.

Questo pone interrogativi importanti sul modello di business, ma ancor di più sui rifiuti prodotti e la loro fine. Lo smaltimento assume un aspetto cruciale, così come i sistemi per cercare di ridurne al minimo l’impatto ambientale. Alcune pratiche diventano fondamentali per contribuire a questo obiettivo. Innanzitutto, bisognerebbe ridurne il consumo, e considerare alcune pratiche fortemente raccomandate, come il riciclo.

In cosa consiste il riciclo tessile

Sostanzialmente, il riciclo di tessuti si sviluppa in differenti modalità:

• La raccolta: Ci sono varie organizzazioni che si occupano della raccolta di abiti usati, alcune sono emanazione di enti governativi, altre società no-profit, mentre molte aziende del settore della moda hanno piani per il ritiro e lo scambio degli abiti usati.
• La selezione: Gli abiti e i tessuti in genere vengono selezionati tenendo conto della qualità e dello stato d’uso. Quelli che risultano ancora in buone condizioni vengono riutilizzati, i tessuti danneggiati avviati al riciclo. Il riutilizzo consiste nel donare gli abiti ad enti benefici o addirittura venduti come usati o a paesi in via di sviluppo.
• Il riciclo meccanico: consiste nella lavorazione dei tessuti danneggiati, riducendoli a fibre sempre più piccole in modo da essere utili per la produzione di altre fibre o altri materiali.  Molti tessuti diventano pezze per imbottiture o stracci per l’uso nelle industrie. In questo settore si distinguono da anni le aziende della provincia di Prato.
• Il riciclo chimico: qui abbiamo il riutilizzo degli scarti ed è sicuramente più sostenibile di quello meccanico perché si ha la trasformazione dei tessuti danneggiati che diventano la base per la produzione ex-novo di nuovi tessuti o altri materiali.
• Il compostaggio: se si hanno abiti o tessuti con fibre naturali, cotone o lino 100%, è intelligente ridurli in pezzettini piccoli ed inserirli nel compost per farli diventare un ottimo concime per l’orto o le piante del nostro giardino.

Importante è l’attuazione, per il mondo della moda e del tessile, di sistemi di “economia circolare” per la progettazione di manufatti che siano riciclabili e/o riutilizzabili, diminuendo così l’enorme quota di rifiuti che impatta sull’ambiente e sviluppando la ricerca di materie prime tessili biodegradabili. Anche l’informazione può contribuire alla riduzione dei rifiuti rendendo il consumatore parte attiva e consapevole nell’acquisto degli abiti e, al momento della dismissione, il corretto modo di riciclarli attraverso programmi di riutilizzo e di ritiro.

Come smaltire i materiali tessili in modo sostenibile?

Innanzitutto, i vestiti, le scarpe o altri indumenti usati sono raccolti, attraverso cassonetti disposti in vari luoghi delle città, da aziende specializzate e registrate che fanno capo al CONAU (Associazione Nazionale Abiti e Accessori Usati).

Di seguito alcuni dati molto interessanti che restituiscono una fotografia dello smaltimento dei rifiuti tessili, questa particolare ma importantissima attività:

• il 68% viene recuperato e riutilizzato come abiti usati, rimessi sul mercato e venduti a paesi terzi e in via di sviluppo, soprattutto est Europa, nord Africa e Africa sub sahariana (Prato e Napoli sono le città in cui esistono i maggiori centri di smistamento); il recupero avviene prima con una selezione, poi l’igienizzazione per permetterne il regolare commercio a norma di legge;
• il 29% viene destinato al pezzame industriale e al processo di “sfilacciatura”, che consiste nel rigenerare i tessuti per creare nuove fibre e filati. In questa pratica vi è un distretto specializzato a Prato dove è nata ASTRI (Associazione Tessile Riciclato Italiano). Il pezzame ad uso industriale concentra tutti quei manufatti utili alla pulizia anche domestica; inoltre, il riciclo interessa anche la “filatura” e la “ricardatura” delle fibre tessili per produrre isolanti acustici o termici;
• infine, il 3% viene smaltito come rifiuto indifferenziato. Anche se sembra una percentuale piccola rispetto alla massa di abiti e tessuti prodotti e destinati allo smaltimento, rappresenta comunque una quantità importante di circa 1,5 milioni di tonnellate di rifiuti tessili annui, fortunatamente in diminuzione e comunque sostenibile.

Il futuro dei nostri abiti

Guardando al futuro l’Unione Europea ha stabilito, con l’introduzione del pacchetto rifiuti sull’economia circolare, che entro il 2025 sarà obbligatoria la raccolta differenziata degli abiti e gli indumenti in genere usati e ogni paese si dovrà organizzare per avere una tracciabilità di tutto il percorso dei rifiuti tessili e migliorare la qualità dei tessuti per utilizzare in maggior misura quelli riciclabili e riciclati.

In Italia tale obbligo è in vigore già dal 1° gennaio 2022 con il decreto legislativo n.116/2020. A tal proposito tutti i comuni italiano devono predisporre le strutture adatte oppure effettuare convenzioni con ditte specializzate che effettuano il servizio. Per la regione Puglia, nelle province di Lecce, Brindisi, Taranto e Bari, agisce l’azienda Econova Servizi per l’ambiente specializzata da anni nel settore dello smaltimento e riciclo dei rifiuti e dei materiali, soprattutto quelli di scarto delle lavorazioni delle aziende tessili. Lo smaltimento ed il riciclo è importante se si considera che l’industria dell’abbigliamento utilizza più di 80 miliardi di metri cubi di acqua (1/4 del fabbisogno dell’intera economia dell’ UE e i vari processi di produzione (tintura, lavaggio ecc.) comporta l’inquinamento del 20% dell’acqua potabile; inoltre il lavaggio dei tessuti sintetici rilascia circa 700 mila fibre di microplastiche che finiscono nei mari e nella catena alimentare oltre al rilascio nell’atmosfera di circa il 10% delle emissioni totali di carbonio.

In conclusione, bisogna sempre più operare con una logica di economia circolare e affidarsi sempre allo smaltimento differenziato affidandosi alle aziende specializzate del settore.