Nel cuore degli anni ’90, l’Italia intraprese un passo storico, segnando un punto di svolta nella tutela della salute pubblica e dell’ambiente. Con la legge 27 marzo 1992, n. 257, infatti, venne sancita la messa al bando dell’amianto, un materiale che, per decenni, aveva trovato impiego in molteplici settori, dall’edilizia all’industria, ma che si rivelò essere un nemico silenzioso e spietato, responsabile di gravi patologie.
Prima di questo anno, questo minerale fibroso era purtroppo onnipresente. Le sue qualità di resistenza al calore e alla trazione lo avevano reso un alleato prezioso soprattutto nel settore delle costruzioni e in numerosi processi industriali. Tuttavia, dietro questa facciata di utilità, si celava una realtà allarmante: studi scientifici, sempre più numerosi e inequivocabili, avevano dimostrato una netta correlazione tra l’esposizione all’amianto e l’insorgenza di malattie mortali, come il mesotelioma e il carcinoma polmonare. La legge 257/1992 nasceva, quindi, da un’impellente necessità: proteggere la popolazione da un rischio sanitario di proporzioni enormi, senza contare le implicazioni anche sull’ambiente.
Il provvedimento legislativo si articolava in una serie di misure incisive, destinate a bloccare per sempre l’impiego dell’amianto.
Innanzitutto, veniva posto un divieto assoluto di estrazione, importazione, commercializzazione e produzione di amianto. Questa decisione, come detto in precedenza, segnava la fine di un’era, interrompendo la catena di approvvigionamento di un materiale tremendamente letale.
Parallelamente, la legge delineava le procedure per la bonifica dei siti contaminati, un’operazione complessa e delicata, volta a rimuovere e smaltire in sicurezza il materiale presente in molti edifici, impianti industriali e altri luoghi. Un’attenzione particolare veniva rivolta ai lavoratori che, in passato, erano stati esposti all’amianto, basti pensare ad esempio che le tute ignifughe dei vigili del fuoco erano prodotte proprio con le fibre di questo minerale. Per loro, venivano previsti programmi di sorveglianza sanitaria e benefici pensionistici, a riconoscimento dei rischi corsi. Infine, veniva istituito il Fondo per le Vittime dell’Amianto, un sostegno economico per le persone colpite dalle patologie correlate all’amianto e per i loro familiari.
L’entrata in vigore della legge 257/1992, come intuibile, ha generato un impatto di vasta portata. Innanzitutto, ha determinato una drastica riduzione dell’esposizione all’amianto contribuendo a prevenire l’insorgenza di nuove malattie. Inoltre, ha stimolato la ricerca e lo sviluppo di materiali alternativi, sicuri e performanti. Infine, ha accresciuto la consapevolezza sui rischi dell’amianto e sull’importanza della sicurezza sul lavoro, promuovendo una cultura della prevenzione.
Nonostante i progressi compiuti, la presenza di amianto in molti edifici costruiti prima del 1992 rappresenta ancora un problema concreto da affrontare. La bonifica dei siti contaminati è un processo lungo e oneroso, che richiede competenze specializzate e risorse adeguate e in quest’ottica la ricerca continua a giocare un ruolo centrale, nello sviluppo di metodi di smaltimento e bonifica sempre più efficaci e sicuri.
Come appena detto, lo smaltimento dell’amianto in Italia è un processo che richiede la massima attenzione e il rispetto di procedure rigorose, data la pericolosità del materiale. La normativa prevede che la rimozione e lo smaltimento dell’amianto debbano essere effettuati da ditte specializzate, iscritte all’Albo Nazionale Gestori Ambientali, che seguono un protocollo ben preciso per garantire la sicurezza degli operatori e dell’ambiente.
Il materiale contenente amianto, una volta rimosso, deve essere imballato in modo sicuro e trasportato in discariche autorizzate, appositamente attrezzate per lo smaltimento di rifiuti pericolosi. Esistono diverse tipologie di discariche, a seconda del tipo di amianto e del suo stato di conservazione. In alcuni casi, il minerale può essere sottoposto a trattamenti di inertizzazione, per renderlo meno pericoloso.
La tracciabilità del materiale, dalla rimozione allo smaltimento finale, è garantita da un sistema di registrazioni e certificazioni, che consente di monitorare l’intero processo e di prevenire eventuali rischi di dispersione nell’ambiente. Inoltre, le autorità sanitarie locali (ASL) svolgono un ruolo di controllo e vigilanza, per assicurare che le operazioni di smaltimento siano eseguite nel rispetto delle normative vigenti.