La presenza di agenti infiltranti, ovvero sostanze inquinanti, nei terreni rappresenta una delle criticità ambientali più complesse e urgenti del nostro tempo. L’inquinamento del suolo, spesso invisibile, può derivare da sversamenti accidentali, pratiche industriali obsolete, smaltimento improprio di rifiuti o attività agricole intensive.
Quando un agente contaminante si infiltra nel terreno, non solo compromette la qualità del suolo stesso, ma può anche diffondersi ad altre matrici ambientali come le acque sotterranee (falde acquifere) e l’aria, generando rischi significativi per la salute umana e per gli ecosistemi.
Di seguito una guida sulle procedure da seguire in caso di contaminazione dei terreni, con particolare riferimento alla normativa vigente, e i rischi associati a tale fenomeno.
Gli agenti infiltranti che possono contaminare il suolo sono numerosi e di diversa natura.
Tra questi troviamo gli idrocarburi, derivanti da perdite di serbatoi sotterranei, sversamenti di carburanti, o attività industriali (ad esempio raffinerie e depositi). Possono essere volatili, semivolatili o prodotti puri (DNAPL – Dense-Non-Aqueous Phase Liquids).
I metalli pesanti rappresentano altri agenti infiltranti, in particolare cadmio, cromo, piombo, mercurio, arsenico, nichel, etc. Provengono spesso da attività industriali, discariche, o fertilizzanti e pesticidi contaminati e tendono ad accumularsi nel suolo e nella catena alimentare.
Anche i solventi organici clorurati, utilizzati in processi industriali (come sgrassanti o produzione di materie plastiche) possono essere altamente tossici e persistenti, mentre i pesticidi e gli erbicidi, ovvero residui di prodotti fitosanitari utilizzati in agricoltura, possono persistere nel suolo e contaminare le acque.
Le diossine e PCB (policlorobifenili) sono invece composti organici persistenti e altamente tossici, spesso derivanti da processi di combustione incompleta o da vecchi trasformatori elettrici.
I rifiuti non biodegradabili, come suggerisce il nome, comprendono plastiche, pneumatici, materiali da costruzione, che alterano le proprietà fisiche e chimiche del suolo.
Infine, ci sono i materiali radioattivi che, sebbene siano meno comuni, legati a specifiche attività industriali o di ricerca possono portare a contaminazioni pericolosissime per la salute.
Come detto in precedenza, la presenza di agenti contaminanti nel terreno comporta una serie di rischi gravi, sia per l’ambiente che per la salute umana.
I problemi di salute possono incorrere in caso di contatto diretto, ad esempio attraverso l’ingestione accidentale di suolo contaminato (soprattutto per bambini), o per contatto cutaneo durante lavori agricoli o attività ricreative.
Oppure mediante inalazione, respirando vapori o polveri contaminati che si disperdono dall’agente infiltrante, specialmente in caso di sostanze volatili, come benzene e solventi.
I pericoli maggiori riguardano però la catena alimentare. Le piante coltivate su suoli contaminati possono assorbire gli inquinanti, che vengono poi trasferiti agli animali e, infine, all’uomo attraverso l’ingestione di alimenti contaminati. Un’evidenza che riguarda in particolare metalli pesanti e alcuni pesticidi.
Stesso discorso per l’acqua potabile, con l’infiltrazione degli agenti contaminanti nelle falde acquifere che può compromettere la qualità idrica, rendendola non idonea al consumo umano e animale.
L’esposizione a lungo termine a determinati inquinanti può causare gravi problemi di salute e l’insorgere di patologie specifiche, tra cui danni neurologici, renali, epatici, alterazioni del sistema endocrino, problemi riproduttivi e, in molti casi, aumento del rischio di cancro, come accade ad esempio con l’esposizione all’amianto.
Per quanto riguarda i rischi per l’ambiente possiamo citare in primis il deterioramento della fertilità del suolo, in quanto gli inquinanti possono alterare la struttura e la composizione chimico-fisica, compromettendone la capacità di supportare la vita vegetale e microbica.
Inoltre, le sostanze tossiche possono essere letali o dannose per la flora e la fauna presenti nel suolo e nelle aree circostanti, alterando gli equilibri ecologici e distruggendo la biodiversità.
L’infiltrazione nelle acque sotterranee e il successivo trasporto in corsi d’acqua superficiali possono causare l’inquinamento di fiumi, laghi e mari, con impatti devastanti sugli ecosistemi acquatici, mentre le sostanze volatili possono evaporare dal suolo e contribuire in modo significativo all’inquinamento atmosferico.
In Italia, la normativa di riferimento per la gestione e la bonifica dei siti contaminati è il Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Testo Unico Ambientale – TUA), in particolare la Parte Quarta, Titolo V. Qui si stabilisce una procedura dettagliata e rigorosa per affrontare la contaminazione dei suoli, suddividendo le responsabilità e le azioni da intraprendere.
Eventuale messa in sicurezza d’urgenza e comunicazione
Al verificarsi di un evento potenzialmente in grado di contaminare un sito (come lo sversamento), il responsabile dell’inquinamento (o il proprietario del sito se il responsabile non è individuabile o non provvede) ha l’obbligo di mettere in atto entro 24 ore tutte le misure di prevenzione e messa in sicurezza d’urgenza per minimizzare la dispersione degli inquinanti (contenimento dello sversamento, rimozione della sorgente).
Deve altresì darne immediata comunicazione al Comune, alla Provincia, alla Regione e all’ARPA (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente) territorialmente competenti, fornendo informazioni sulle caratteristiche del sito, le matrici ambientali coinvolte e gli interventi previsti.
Successivamente alla fase di emergenza, o in caso di sospetta contaminazione storica, si procede con il Piano di Caratterizzazione che prevede indagini approfondite (prelievi di campioni di suolo, acque sotterranee, gas del suolo) per definire l’estensione, la natura e la concentrazione degli inquinanti presenti. L’obiettivo è determinare se le concentrazioni di sostanze superano le Concentrazioni Soglia di Contaminazione (CSC) stabilite dalla legge per diverse matrici ambientali.
Il piano di caratterizzazione è redatto da professionisti qualificati e approvato dalle autorità competenti.
Se i valori delle CSC vengono superati, il sito è considerato potenzialmente contaminato. A questo punto, si procede con l’Analisi di Rischio Sito-Specifica, una valutazione quantitativa e modellistica dei rischi per la salute umana e l’ambiente derivanti dall’esposizione agli inquinanti rilevati. Si valutano le “vie di esposizione” (inalazione, ingestione, contatto cutaneo) e i “recettori” (lavoratori, residenti, agricoltori, ecosistemi).
L’analisi di rischio definisce le Concentrazioni Soglia di Rischio (CSR), ovvero i livelli di contaminazione accettabili per quello specifico sito, tenendo conto dell’uso attuale e futuro del suolo.
Se le concentrazioni in situ risultano inferiori alle CSR, il sito viene classificato come “non contaminato” e non necessita di interventi di bonifica.
Se invece i valori delle CSR vengono superati, il sito è classificato come “contaminato” e necessita di interventi. Si redige un Progetto Operativo di Bonifica (POB), che descrive le tecnologie e le metodologie da applicare per rimuovere, contenere o trattare gli inquinanti fino a ricondurre le concentrazioni entro i valori di CSR o CSC.
Le tecnologie di bonifica sono numerose e vengono scelte in base alla tipologia di inquinante, alle caratteristiche del terreno e al livello di contaminazione.
Esistono le metodologie in-situ, ovvero interventi realizzati direttamente sul sito, senza rimozione del terreno. Tra gli esempi possiamo citare la biorimediazione (uso di microrganismi o piante per degradare gli inquinanti), il soil flushing (lavaggio del terreno), il soil vapor extraction (SVE) per sostanze volatili, la solidificazione e stabilizzazione degli inquinanti.
Le tecniche ex-situ comportano l’asportazione del terreno contaminato e il suo trattamento altrove (incenerimento, smaltimento in discariche autorizzate) o la sua depurazione in impianti dedicati. L’escavazione e smaltimento è la tecnica più diretta ma anche la più costosa e impattante.
In alcuni casi, quando la bonifica completa non è tecnicamente realizzabile o economicamente sostenibile, si può optare per la messa in sicurezza permanente, che consiste nel confinamento degli inquinanti per prevenire la loro migrazione e l’esposizione dei recettori (con la realizzazione di barriere fisiche o idrauliche).
Una volta approvato il POB, si procede con l’esecuzione degli interventi di bonifica. Durante e dopo le operazioni, è previsto un monitoraggio continuo per verificare l’efficacia degli interventi e l’andamento delle concentrazioni degli inquinanti.
Al raggiungimento degli obiettivi di bonifica (valori inferiori alle CSR/CSC), le autorità competenti rilasciano la Certificazione di Avvenuta Bonifica, che attesta la riqualificazione del sito.
La normativa italiana prevede chiare responsabilità nel caso di queste condizioni. Il soggetto che ha causato l’inquinamento è il principale responsabile degli interventi di bonifica. In caso di sua non identificazione o inadempienza, l’onere può ricadere sul proprietario del sito (che può rivalersi sul responsabile) o, in ultima istanza, sulla pubblica amministrazione (Comune/Regione), con possibilità di rivalsa sulle spese sostenute.
Il D.Lgs. 152/06 prevede sanzioni amministrative e penali anche molto pesanti per chi non rispetta gli obblighi di comunicazione e di bonifica, sottolineando la gravità della questione ambientale e la necessità di una gestione responsabile del territorio.